(Intervista di Dario Villasanta)
Speciale approfondimento: DELITTO E CULTURA (quarta parte)
Può un ex ergastolano essere credibile nel combattere la pena dell’ergastolo? Ha un marchio addosso e soprannomi ancor più pesanti: ‘ergastolano’, ‘rapinatore’, ‘assassino’, era per tutti i giornali ‘La belva della Versilia’: è Carmelo Musumeci, un ex malavitoso che lo studio e la cultura, oltre alla sua indole personale, hanno trasformato in un uomo che cerca di far del bene al prossimo quanto più possibile, con la consapevolezza – parole sue – che per lui non sarà mai abbastanza.
E lotta, Carmelo Musumeci, lotta per far sentire una voce che nessuno vorrebbe sentire mai. Questa voce è quella di un uomo che ne ha fatte e passate di tutti i colori e crede fermamente che, il carcere più disumano è e meno serve. In fondo, non dice niente di diverso da Dostoevskij, per quanto fossero altri tempi e altri luoghi. In questo Speciale di Scrivere Senza Parole abbiamo voluto sentire anche la sua opinione su argomenti che puntualmente ritrovano voce e clamore, spesso usati ad hoc per campagne elettorali o per giustificare scelte discutibili o mal digerite dal popolo. Dovete leggere cosa dice, se non altro perché ne sa – almeno come esperienza diretta – più di tutti noi messi insieme e, in fin dei conti, è una voce alternativa che ci offre un’altra ottica con cui valutare i fatti. Con una precisazione: qui non si perorano cause di sorta, le opinioni personali della Redazione non vogliono interferire con il sentire più schietto degli intervistati, ma prendere solo atto di un’idea e rifletterci, confrontandola magari con altre divergenti, ma sempre usando il cervello e la nostra Cultura e Civiltà, se ancora ne abbiamo una. Signore e signori, senza ‘buonismi’ né sensazionalismi mi sento in dovere di portarvi le idee sul carcere duro – e non solo – di chi l’ha vissuto realmente, cioè Carmelo Musumeci.
Carmelo, oggi come sempre, da decenni e periodicamente, si torna a parlare di misure estreme per i mafiosi. Dunque l’ergastolo ‘duro’, il 416 bis, nonché la possibilità di concedere o negare benefici a chi collabora con la Giustizia. Iniziamo a fare ordine: cosa ci stanno raccontando di falso, e cosa invece NON ci hanno raccontato di vero?
La speranza a mio parere, è uno strumento formidabile per sconfiggere la criminalità organizzata perché dà la possibilità ai suoi membri, dopo decenni di carcere, di uscire culturalmente dalle scelte devianti e criminali del passato. Certi fenomeni non si sconfiggono solo militarmente ma soprattutto culturalmente e la speranza può essere un buon deterrente.
Hai scritto un libro a quattro mani con Andrea Pugiotto, Ordinario di Diritto Costituzionale all’università di Ferrara. Lui è considerato tra i massimi esperti di ergastolo ostativo e in capofila, in prima linea, nella battaglia per eliminarlo. Ci spieghi in sintesi cos’è un ‘ergastolo ostativo’ e perché andrebbe, secondo voi, abolito?
Pochi sanno che in Italia i tipi di ergastolo sono due: quello normale, che manca di umanità, proporzionalità, legalità, eguaglianza ed educatività, ma ti lascia almeno uno spiraglio; poi c’è quello ostativo, che ti condanna a morte facendoti restare vivo, senza nessuna speranza. Per meglio comprendere la questione bisogna aver presente la legge 356/92 che introduce nel sistema di esecuzione delle pene detentive una sorta di doppio binario, nel senso che, per taluni delitti ritenuti di particolare allarme sociale, il legislatore ha previsto un regime speciale, che si risolve nell’escludere dal trattamento extramurario i condannati, a meno che questi collaborino con la giustizia: per questo motivo molti ergastolani non possono godere di alcun beneficio penitenziario e di fatto sono condannati a morire in carcere. L’ergastolano del passato, pur sottoposto alla tortura dell’incertezza, ha sempre avuto una speranza di non morire in carcere, ora questa probabilità non esiste neppure più. Dal 1992 nasce l’ergastolo ostativo, ritorna la pena perpetua, o meglio la pena di morte viva. La pena dell’ergastolo andrebbe abolita perché le persone cambiano a parte quelle che pensano l’incontrario.
Qualcuno (non solo il giornalista Marco Travaglio) sostiene che l’essere mafioso è una forma mentis particolare, un’eccezione rispetto alla criminalità ‘classica, chiamiamola così, e che pertanto necessita di misure straordinarie perché altrimenti non si otterrebbero mai risultati seri di collaborazione e di lotta vera alla mafia. In sostanza, il condannato al carcere a vita può ottenere benefici solo se collabora, il che è a tutti gli effetti un ricatto, ma ritenuto necessario per conseguire risultati utili per la lotta alla mafia. Ti chiedo di darmi la tua opinione, ma forse anche bene spiegare che differenze ci sono tra tutto quello che oggi viene definito ‘mafia’ e quello che in realtà non lo è. .

Musumeci con l’astrofisica Margherita Hack, firmataria della petizione contro il fine pena mai
A mio parere la mafia è un tipo di cultura e si può essere mafiosi senza neppure infrangere la legge e andando a messa alla domenica.
Dopo la decisione della Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo alcune persone dicono e scrivono che questa sentenza sia un regalo alle mafie. Non sanno (o forse lo sanno) quanto si sbagliano, perché questa decisione leverà l’acqua ai pescecani e molti mafiosi adesso avranno l’opportunità (insieme alle loro famiglie) di uscire (anche culturalmente) dalle loro organizzazioni senza mettere in cella un altro al posto loro e senza recare pericoli e disagi ai propri familiari. Affermare che un mafioso rimane mafioso per tutta la vita è una stupidaggine, o meglio, lo può rimanere se lo Stato si accontenta di murarlo vivo senza speranza e senza l’umanità di ammazzarlo prima.
Penso che in uno Stato di Diritto la “vendetta” dovrebbe essere quella di tirare fuori dal criminale il senso di colpa per il male fatto, e ci può riuscire solo con una pena che faccia “bene”. Molti non sanno che alcuni mafiosi, in particolar modo quelli che non commettono reati perché li fanno commettere agli altri o ne creano le condizioni, sono sempre stati terrorizzati dell’eventuale abolizione dell’ergastolo, per paura di perdere il loro esercito, perché la speranza di rifarsi una vita è un deterrente molto più efficace del carcere duro o dell’ergastolo ostativo.
Alcuni professionisti dell’Antimafia affermano che in certi paesi si possono permettere di non avere il carcere duro o l’ergastolo ostativo perché nelle loro nazioni non esiste il fenomeno mafioso, ma non riflettono sul fatto che forse da noi esiste proprio questo fenomeno per le politiche sbagliate e perché le nostre carceri e le nostre pene sono solo cancerogene e producono grande e piccola criminalità. Inoltre, uno Stato di Diritto non dovrebbe avere paura dei suoi giudici, piuttosto, dovrebbe avere paura dei suoi politici, quindi perché non avere fiducia nella Magistratura di Sorveglianza se, caso per caso, ora avrà la possibilità di decidere di fare rientrare nella società i detenuti che lo meritano?
La cultura italiana ed europea in genere è da parecchio tempo ormai convinta che la pena di morte non debba esistere. Eppure, oggigiorno i delitti più efferati fanno scattare la molla ‘di pancia’ della gran parte della popolazione che invoca, sempre più, la pena afflittiva e in molti casi si reclama addirittura la pena di morte. Sebbene nessun giurista serio la riproporrà mai in tempi vicini, ci sai dire la tua opinione sul perché la cultura generale – il sentire comune – si stia spostando sempre più verso la vendicatività e non, come sancisce la Costituzione, per l’invocazione di una riforma carceraria che serva a qualcuno invece di punirlo e basta?
La società non è cattiva ma riceve dai mass-media solo notizie e non informazione serie e non sa che un carcere che fa male insieme a una pena vendicativa fa danni soprattutto alla stessa società.
Carmelo, tu sei nato come rapinatore e non come affiliato alle mafie classiche, che pure ben conosci. I criminali di vecchio stampo non hanno mai amato i mafiosi. Vuoi spiegare alla gente il perché?
La mafia è sempre stata vista dalla “malavita” come un ‘anti-Stato’ che usa gli stessi mezzi dello Stato.
Secondo i rapporti sulle carceri di Associazione Antigone (ONLUS che vigila sul rispetto dei diritti umani nei luoghi di detenzione) da dieci anni a questa parte tutti i rati sono scesi, addirittura gli omicidi del 20%, tranne quelli da ‘colletti bianchì, ossia finanziari e sfruttamento/truffe sul lavoro. Ritieni giusta l’idea di chi invoca le manette per gli evasori fiscali?
Credo che il carcere, così com’è in Italia non sia la medicina ma sia piuttosto la malattia, credo che siano più efficaci le pene alternative.
A me sembra che finora le politiche, ultraventennali, del carcere duro e del fine pena anno 9.999 abbiano portato più vantaggi alle mafie (almeno a quelle politiche e finanziarie) che svantaggi, dato che anche gli addetti ai lavori affermano che l’élite mafiosa è più potente adesso di prima.
A questo punto, io penso che se è solo una questione di sicurezza, e non di vendetta sociale, sia più sicura per la collettività la pena di morte che la pena dell’ergastolo o il regime di tortura del 41bis.
Qualcuno sostiene che il carcere duro, almeno all’inizio, sia stato utile, ma questo a che prezzo? Io credo che alla lunga il regime di tortura del 41bis, e una pena realmente senza fine come l’ergastolo ostativo, abbiano rafforzato la cultura mafiosa, perché hanno innescato odio e rancore verso le Istituzioni anche nei familiari dei detenuti.
Penso che sia davvero difficile cambiare quando sei murato vivo in una cella e non puoi più toccare le persone che ami, neppure in quell’unica ora al mese di colloquio che ti spetta. Con il passare degli anni i tuoi stessi familiari incominciano a vedere lo Stato come un nemico da odiare e c’è il rischio che i tuoi figli, che si potrebbero invece salvare, diventino loro stessi dei mafiosi.
Credo che sia sbagliato cedere parte della nostra umanità per vivere in una società più sicura. Ricordo che ai miei tempi il carcere duro veniva applicato indistintamente anche ai giovani, a ragazzi appena maggiorenni, che certo non potevano essere dei “boss”, per avere il consenso politico e sociale, più che per motivi di sicurezza.

Musumeci con Papa Francesco (Immagine soggetta a Copyright dell’autore)
Posso dire che per me è molto più “doloroso” e rieducativo adesso fare il volontario in una struttura della Comunità Papa Giovanni XXIII (fondata da Don Oreste Benzi) che gli anni passati murato vivo in isolamento totale durante il regime di tortura del 41bis. Trattato in quel modo dalle Istituzioni, mi sentivo innocente del male fatto; ora, invece, che sono trattato con umanità, mi sento più colpevole delle scelte sbagliate che ho fatto nella mia vita. E penso che questo potrebbe accadere anche alla maggioranza dei prigionieri che sono ancora detenuti in quel girone infernale. Sono convinto che anche il peggiore criminale, mafioso o terrorista potrebbe cambiare con una pena più umana e con un fine pena certo. Ci sono persone che sono sottoposte al regime di tortura del 41bis da decenni, ergastolani che quando sono entrati in carcere avevano compiuto da poco diciott’anni e che ora hanno passato più anni della loro vita dentro che fuori. Persone che sono cambiate, o potrebbero cambiare, ma che non potranno mai dimostrarlo perché nel certificato di detenzione c’è scritto che la loro pena finirà nel 9.999
‘La lucertola che diventa coccodrillo’, è questo il principio secondo il quale i giovani detenuti sarebbero da tenere separati dai ‘vecchi’, quelli ormai incalliti. In realtà, nelle prigioni italoamericane non è quasi mai possibile, sicché oggi il carcere crea più criminali di quanti ne accoglie, visto che una buona percentuale di chi ci finisce sono poveracci che scontano la galera per delle stupidate. È un ottimo spunto per spiegare la tua idea di carcere e rieducazione, perché tu giustamente sostieni che ‘bisogna togliere l’acqua al pescecane’, cioè puntare sul dare cultura ai giovani e così togliergli dalla testa l’idea di falsi eroi criminali da emulare. Spiegaci meglio questo tuo concetto.
Il carcere ti disimpara a vivere ed invece di guarirti dal male ti fa ammalare ancora di più quindi dovrebbe essere usato il meno possibile, soprattutto per i giovani.
Mafia e Stato, politica e corruzione (appena usciti i dati: un tot di arresti a settimana negli ultimi due anni di politici corrotti o corruttori: devastante). Senza considerare le sentenze sulla trattativa Stato-Mafia (per lo più relegate in trafiletti nascosti dei giornali, o distorte quando parlano di ‘assoluzione’ quando è ‘prescrizione’, vale a dire che il reato c’era ma è scaduto il tempo per punirlo) e senza prenderci querele inutili, cosa possiamo dire dell’atteggiamento della politica verso la criminalità organizzata negli ultimi, diciamo, dieci anni?
Posso dire che la legalità prima di pretenderla bisogna darla, ma spesso la nostra classe politica non da certo un buon esempio.
Per finire: in carcere hai conseguito due lauree, una in Giurisprudenza e una in Scienze Politiche. Secondo te, quale sarebbe la ricetta per avvicinare i giovani alla Cultura, ma intendo la Cultura che tocca il loro quotidiano e mostra loro la convenienza, quanto meno morale, di evitare le blandizie delle mafie e avere il coraggio di soffrire per restare persone oneste? Converrai che è ben difficile in un Paese dove chi non fa il furbo è considerato un imbecille…
Incredibilmente sto soffrendo di più adesso che sono libero (quasi) di prima, perché quando ti abitui alla cattività per tantissimi anni poi la felicità ti stanca, dà ansia ed è anche difficile da gestire. In un certo modo ti sei disabituato alla felicità. No! Dopo tanti anni di carcere non c’è nessuna resurrezione per nessuno, neanche per quei pochi detenuti che sono riusciti a migliorarsi nonostante il carcere. Sotto un certo punto di vista la vera pena la inizi a scontare quando esci fuori. Ti confido che a volte ho paura a sentirmi felice perché mi viene in mente quanto sono stato infelice per 27 anni e adesso sento di più il dolore di quegli anni. Poi ho il senso di colpa verso i miei compagni perché io ce l’ho fatta, loro no, perché credo che molti di loro meritano più di me.
Hai scritto libri, ti batti per diritti civili, sei stato accolto pure dal Papa e hai avuto appoggi da personaggi del più alto livello culturale italiano e mondiale. Pacche sulle spalle a parte, ora che vivi nella Comunità di Don Benzi, qualcuno di loro ha mai mosso veramente un dito per sostenerti in questa tua nuova vita, che non si limita al pentimento bensì persegue il voler fare a tutti i costi qualcosa di buono e utile per il prossimo?
Come sappiamo, la letteratura è l’anima di un Paese e sono fortemente convinto che in Italia la giustizia e le prigioni siano quelle che sono anche perché, a differenza di altri Paesi, nel nostro manca una letteratura sociale carceraria. Io nel mio piccolo mi sto sforzando di crearne un perché in un quarto di secolo in carcere non ho fatto altro che scrivere. E spero un giorno di pubblicare tutto quello che ho scritto, ma non è facile, soprattutto per un ergastolano. Non nascondo che in tanti anni ho scritto solo per continuare ad esistere, ma purtroppo sono pochi gli editori che si sporcano le mani pubblicando i pensieri degli avanzi di galera come me. La stragrande maggioranza delle case editrici preferisce pubblicare le ricette di cucina o le barzellette di Totti per guadagnare tanti soldi ed evitare critiche e guai. Nei miei romanzi non parlo solo di carcere, ma soprattutto di come si arriva al carcere. Scrivo anche per fare sapere alle persone di buona volontà, che vogliono capire che nella maggioranza dei casi il carcere, così com’è oggi in Italia, produce solo tanta recidiva e che una pena crudele e cattiva non fa riflettere sul male commesso. E che agli ergastolani non servirebbe poi molto per migliorarsi, se non un po’ di speranza e un fine pena. Credo che è utile far sapere alla società che una sofferenza inutile non fa bene a nessuno, neppure alle vittime dei nostri reati, per questo ci tengo in particolar modo che i miei libri vengano letti.
Spesso chi conosce la mia storia e viene a sapere che sono entrato in carcere solo con la quinta elementare, ma che ho preso tre lauree, che pubblico libri, che ho ricevuto vari encomi, che svolgo attività di consulenza ai detenuti e agli studenti universitari nella stesura delle loro tesi di laurea sul carcere e sulla pena dell’ergastolo, mi chiedono: “Quindi, il carcere ti ha fatto bene?”.
A questa domanda rispondo sempre che il carcere non mi ha assolutamente fatto bene. Se mi limitassi a guardare solo carcere, posso dire che non solo mi ha peggiorato, ma mi ha anche fatto tanto male.
Ciò che mi ha migliorato e cambiato non è stato certo il carcere, ma l’amore della mia compagna, dei miei due figli, le relazioni sociali e umane che in tutti questi anni mi sono creato, insieme alla lettura di migliaia di libri di cui mi sono sempre circondato, anche nei momenti di privazione assoluta. Ed è proprio questo programma di auto-rieducazione che mi ha aperto una finestra per comprendere il male che avevo fatto e avere così una possibilità di riscatto. Molti non lo sanno, ma forse la cosa più terribile del carcere è accorgersi che si soffre per nulla. Ed è terribile comprendere che il nostro dolore non fa bene a nessuno, neppure alle vittime dei nostri reati. Spesso ho persino pensato che il carcere faccia più male alla società che agli stessi prigionieri perché, nella maggioranza dei casi, la prigione produce e modella nuovi criminali. Se a me questo non è accaduto è solo grazie all’amore della mia famiglia e di una parte della società.
Carmelo ha toccato un tasto importante che viene ragionato, giusto per capirci, anche nelle varie teorie della pena partendo dal Cattaneo e al Beccaria ponendo infine una domanda sulla pena del reo: a chi è utile? E a chi dà risarcimento (le vittime, la società)? E se sì, come? Secondo lui – ma non solo – il carcere così com’è in Italia produce più delinquenti di quanti ne punisca. Personalmente potrei dire che ha ragione, per quanto alcune sue risposte diano l’impressione che nessun delinquente dovrebbe mai vivere il carcere. Per sillogismo avrebbe anche ragione, ma il mondo reale che abbiamo a disposizione è questo, dunque che si fa? Di certo non si possono lasciare tutti fuori con una pacca sulla spalla, e vi tranquillizzo: neanche Carmelo intendeva dire questo. Ma ragioniamoci per davvero, ragioniamoci tutti, e non con la pancia: perché nessuno porterà mai in vita un morto ammazzato e nessuna società avrà un vantaggio dalla mera vendetta. Sui singoli casi, poi, ognuno si tenga la sua opinione senza sentirsi offeso in qualche modo, ma le riflessioni di un uomo che è stato sia boia che condannato e che vi sta dicendo ‘soffro più adesso di prima’ dovrebbe farci riflettere tutti. Non con il cuore, magari, ma con la testa sì.
Chi è Carmelo Musumeci:
Carmelo Musumeci è nato nel 1955 in Sicilia. Condannato all’ergastolo, è ora in liberazione condizionale presso una Casa Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi.
Entrato in carcere nel 1991 con licenza elementare, oggi ha 3 Lauree. Dal 1992 al 1997, mentre è all’Asinara in regime di 41 bis, riprende gli studi e da autodidatta termina le scuole superiori. Nel 2005 consegue la prima Laurea in Scienze Giuridiche, con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”, relatore Prof. Emilio Santoro.
Nel maggio 2011 si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Perugia, con una tesi dal titolo “La ‘pena di morte viva’: ergastolo ostativo e profili di costituzionalità”, con relatore il Prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale, e Stefano Anastasia, ricercatore di Filosofia e Sociologia del Diritto e Presidente onorario dell’Associazione Antigone per la difesa dei diritti dei detenuti.
Il 16 giugno 2016 si è laureato in Filosofia, con votazione 110 e lode, presso l’Università degli Studi di Padova, discutendo la tesi “Biografie devianti” relatrice Prof.ssa Francesca Vianello.
Promuove da anni una campagna contro il fine pena mai, per l’abolizione dell’ergastolo.
Nel 2007 ha conosciuto don Oreste Benzi e da allora anni condivide il progetto con la Comunità Papa Giovanni XXIII.
Nel sito che porta il suo nome www.carmelomusumeci.com sono state raccolte oltre 30.000 Firme contro contro l’ergastolo. Questi sono alcuni dei Primi Firmatari:
- –– Margherita Hack
- – Umberto Veronesi (Milano)
- – Bianca Berlinguer (Giornalista, Direttore TG3)
- – Gino Strada (Fondatore di Emergency)
- – Giovanni Paolo Ramonda (Resp.Generale Comunità Papa Giovanni XXIII)
- – Maria Agnese Moro (Roma)
- – Don Luigi Ciotti (Pres. Gruppo Abele, Pres. Associazione Libera) (Torino)
- – Stefano Rodotà (Giurista) (Roma)
- – Ferdinando Imposimato (Pres. Onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione)
- – Giuliano Amato (Professore)
- – Carmelo Sardo (Giornalista, Vice capo redattore cronache tg5) (Roma)
- – Dori Ghezzi (Cantante)
- – Franca Rame
- – Cristiana Capotondi (Attrice) (Milano )
- – Oscar Farinetti (Imprenditore, fondatore della catena Eataly) (Alba – CN)
- – Lorella Cuccarini (Conduttrice, ballerina, cantante) (Roma)
- – Rocco Buttiglione (Deputato SCpI, Pres. naz Unione Democratici Cristiani) (Roma)
- – Fausto Bertinotti (Politico, già Segr. Partito Rif. Comunista, già Pres. Camera Deputati)
- – Massimo D’ Alema (Deputato PD, già Pres. Consiglio dei Ministri)
- – Mario Arpaia (Pres. Memoria Condivisa Ass. Familiari Vittime) (Foggia)
- – Gaetano Bonomi (Procuratore gen. onorario aggiunto Corte Cassazione) (Potenza)
- – Walter Tocci (Senatore PD)
- – Vauro Senesi (Roma)
- – Roberto Giachetti (Deputato PD e Vicepresidente Camera Deputati)
- – Rita Bernardini (Partito Radicale) (Roma)
- – Edoardo Patriarca (Deputato PD) (Carpi – MO)
- – Giovanni Malagò (Presidente CONI) (Roma)
- – Adriano Prosperi (Storico e Giornalista) (Pisa)
- – Emanuele Cozzolino (Deputato M5S) (Mirano – VE)
- – Mario Capanna (Politico e Scrittore) (Roma)
- – Andrea Camilleri (Scrittore) (Roma)
- – Susanna Tamaro (Scrittrice) (Roma)
- – Erri De Luca (Scrittore) (Roma)
- – Vittorino Andreoli (Psichiatra e scrittore) (Verona)
- – Francesco Zanotti (Dir. Corriere Cesenate, Pres. FISC) (Cesena)
- – Eugenio Borgna (Psichiatra) (Novara)
- – Paolo Crepet (Medico, Psichiatra e Scrittore) (Roma)
- – Roberto Vecchioni (Cantautore, paroliere e scrittore) (Milano)
- – Daria Colombo (Giornalista e scrittrice) (Milano)
- – Ivano Fossati (Cantautore e compositore) (Genova)
- – Fiorella Mannoia (Cantante) (Roma)
- – PFM-Premiata Forneria Marconi (Gruppo musicale)
- – Francesco Baccini (Cantautore)
- – Barbara Alberti (Scrittrice e giornalista) (Roma)
- – Vittorio Sgarbi (Critico d’arte, politico, saggista) (Roma)
- – Alessandro Bergonzoni (Comico, scrittore, autore e attore di teatro) (Bologna)
- – Ascanio Celestini (Attore teatrale, regista cinematografico, scrittore e drammaturgo)
- – Lella Costa (Attrice, scrittrice, doppiatrice) (Milano)
- – Dario Vergassola (Comico e Cantautore) (La Spezia)
- – Benedetta Tobagi (Scrittrice e membro del Cda Rai) (Milano)
- – Haidi Gaggio Giuliani (Comitato Piazza Carlo Giuliani) (Genova)
- – Don Andrea Gallo (Genova)
- – Don Antonio Mazzi (Sacerdote, Fondatore e Presidente di Exodus) (Milano)
- – Enzo Bianchi (Fond. e Priore Comunità monastica di Bose) (Magnano – BI)
- – Alessandro Sallusti (Giornalista, Direttore de Il Giornale)
- – Luigi Manconi (Senatore PD)
- – Mauro Palma (Presid. Commissione carcere e Presid. Comitato Europea prevenz. tortura)
- – Marco Boato (Ex Parlamentare) (Trento)
- – Ernesto Olivero (Fondatore del Sermig – Arsenale della Pace) (Torino)
- – Mons. Gianfranco De Luca (Vescovo Diocesi Termoli-Larino) (Termoli – CB)
- – Don Franco Esposito (Cappellano Carcere Poggioreale, Dir. pastorale carcere) (Napoli)
- – Daniele Vicari (Regista) (Roma)
- – Sergio Staino (Fumettista e regista)
- – Davide Ferrario (Regista) (Torino)
- – Stefano Lorenzetto (Giornalista e scrittore) (Verona)
Bibliografia
Ha pubblicato nel 2010 il libro “Gli uomini ombra”, nel 2012 “Undici ore d’amore di un uomo ombra”, prefazione di Barbara Alberti, e “Zanna Blu”, con prefazione di Margherita Hack, editi da Gabrielli Editori. Nel 2013 pubblica “L’urlo di un uomo ombra”, Edizioni Smasher; nel 2014 con Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri, per la collana Millelire, “L’Assassino dei Sogni”, Lettere fra un filosofo e un ergastolano, di Carmelo Musumeci, Giuseppe Ferraro; nel 2015 per Edizioni Erranti “Fuga dall’Assassino dei Sogni” di Alfredo Cosco e Carmelo Musumeci, con prefazione di Erri De Luca; nel 2016 “Gli ergastolani senza scampo” Fenomenologia e criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo di Carmelo Musumeci / Andrea Pugiotto, con prefazione di Gaetano Silvestri e un’appendice di Davide Galliani, Editoriale Scientifica; nel marzo 2017 “Angelo SenzaDio” con CreateSpace Independent Publishing Platform, prefazione di Agnese Moro; nel novembre 2017 “La Belva della cella 154“ sempre con CreateSpace by Amazon, prefazione di Alessandra Celletti; nel 2018 “Nato colpevole” con CreateSpace Independent Publishing Platform, prefazione di Francesca Barca.
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