(di Dario Villasanta)
Quando mi fu chiesto da Anita Richeldi (sensual coach e sex-blogger) di scrivere su cibo e sesso nella letteratura, confesso di essermi sorpreso a corto di argomenti e, detto da uno scrittore appassionato di cucina, sarebbe già singolare così.
Ma la questione curiosa è un’altra a cui incredibilmente non avevo mai pensato, e cioè che il connubio tra palato ed erotismo è costruito e presentato in maniera diametralmente opposta rispetto ad altre forme artistiche, come il cinema o la musica per esempio, dove il legame, anzi la simbiosi tra i due è strettamente consequenziale e di effetto emotivo più immediato rispetto ai libri; a una cena, ad esempio, segue il sesso, oppure la seduzione conduce a cenare insieme, e via dicendo. Mi sono chiesto perché, ed ecco le conclusioni a cui sono giunto.
Innanzitutto, se si esclude la narrativa di genere erotico o romance – e anch’essa fino a un certo punto – il sesso è giocoforza solo accennato, non viene quasi mai raccontato nei dettagli bensì solo lasciato intuire. Semmai, è la seduzione – o il ‘dopo’ – a riempire molte pagine. Il momento del pasto, semmai ricopre un ruolo di ‘motore immobile’ oserei dire, propedeutico alla seduzione, e per un motivo strettamente tecnico.
Prendiamo ad esempio la letteratura francese del ‘700, testimone di un libertinaggio esacerbato e titoli come La signora delle camelie di Dumas figlio, oppure più avanti Nana di Zola, proseguendo poi con l’Inghilterra vittoriana de Il ritratto di Dorian Gray di Wilde: in queste storie che raccontano la dissolutezza più sfrenata, è a tavola che si consumano i preliminari delle tresche più scabrose e maturano le abituali infedeltà dell’epoca.
I pranzi, a quei tempi, erano molto diversi dai nostri, si consumavano di notte e prevedevano tante portate quante le occasioni di rapporti e incontri pruriginosi, solitamente in presenza della o del consorte di chi si voleva sedurre.
Ecco quindi che l’atto del convivio gastronomico diviene, in narrativa, in primis l’occasione e il mezzo per creare dialoghi e dare così più tridimensionalità psicologica, emotiva e caratteriale ai personaggi.
L’altro uso del cibo è strettamente legato invece alla caratterizzazione ambientale della storia, e questo avviene soprattutto nei generi crime (noir, giallo, thriller).
Basta riportare alla mente due serie televisive di successo come Il commisario Montalbano, tratto dai romanzi di Camilleri e Nebbie e delitti (tre stagioni sulla RAI anni fa, con Barbareschi e la Stefanenko) ispirati al commissario Soneri di Valerio Varesi. Entrambi i commissari, come d’altronde tutti gli italiani, hanno una vera e propria passione per il cibo e, naturalmente, i sapori sono quelli della loro terra (la Sicilia per Montalbano e Parma per Soneri). Pertanto, non solo si affina la personalità del protagonista per mezzo delle loro abitudini culinarie, ma viene altresì creata una cornice ambientale che induce a immaginare fin’anche gli odori e i sapori di quei luoghi. Il sesso e la passione invece sono solo un arricchimento della trama quando non un vero e proprio movente per un delitto.
Ecco quindi una realtà clamorosa: il sesso e il cibo, in questi generi letterari, hanno non più una consequenzialità come nelle opere succitate, ma anzi sono addirittura disgiunti – come, per esempio, ne L’amante di Lady Chatterley di D.H Lawrence – tranne rari e marginali accenni.
Premesso che il noir è considerato, per caratteristiche specifiche sue, insieme a un certo realismo italiano, come il genere che più fedelmente rappresenta la realtà dei giorni nostri, notiamo quindi che se il sesso può considerarsi più vicino alla morte, per certi versi, o alla parte ‘nera’ della storia, il cibo è invece quanto di più vicino alla vita.
Il rifugiarsi nei sapori della propria tradizione e memoria ha una valenza rassicurante, è un momento di ‘ritorno a casa’ che permette di sopportare le brutture della vita.
Alla fine del ragionamento dunque, la verità che ci appare è che cibo e sesso in letteratura sono più che altro funzionali alla trama o a parte di essa.
Sarebbe invece più ghiotta, su questo tema, la vita reale degli scrittori. Maupassant, Baudelaire, Balzac e tantissimi altri erano dei gozzovigliatori impenitenti, quindi per contrasto mi piace concludere con Marcel Proust.
Se in vita egli pure si era dato ai bagordi – nonostante la costante, malferma salute – ha poi virato in modo significativo. Se già in Madeleine usò il cibo come tramite per i ricordi, ne La Récherche du temp perdu tagliò fuori tutto questo. Si chiuse metaforicamente in una stanza a rincorrere i ricordi non per indulgere nella nostalgia, ma per eliminare le scorie del suo passato di sesso e gozzoviglie, e arrivare così alla scoperta del vero se stesso, quello più elevato, costruendo ciò che lui chiamò ‘le cattedrali della memoria’.
In conclusione: se cercate un connubio perfetto per la vostra vita sessuale con il cibo, non cercatelo nei libri, a meno che non abbiate letto molto e con un certo perverso e malizioso gusto per la sottigliezza dell’erotismo.
Per approfondimenti sull’argomento erotismo vedi: Anita Richeldi
Siti: www.comemisvesto.it e www.thegourmandeyes.it
Pagina Facebook: Anita Richeldi
Approfondimenti storici e suggerimenti: VIDEO Cucina d’epoca e La voglia dei cazzi e altri fablieux medievali di Alessandro Barbero.
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