(di Vincenzo Maimone)
Ieri sera una mia carissima amica, Grazia Di Bella, mi ha proposto: “Perché non scrivi un racconto a puntate e lo posti?”, aggiungendo, “faresti felici tante persone”. Di fronte alla possibilità di migliorare lo stato d’animo delle persone, in tempi sospesi come questi, mi sembrava doveroso accettare l’invito. Ecco la nona puntata del racconto. Il protagonista è Ermes Lazzari,di professione correttore di bozze.
Vincenzo Maimone, 17 marzo 2020
ERRATA CORRIGE
#9
Aprì la porta riuscendo a infilare la chiave nella toppa solo al terzo tentativo. Le mani gli tremavano a causa del nervosismo che l’incontro con il fattorino aveva scatenato in lui. Ma non erano solo i nervi a rendere incerta e imprecisa la sua mano. Dentro il suo animo un sottile timore si faceva largo tra le pieghe del suo temperamento solitamente sicuro, magari non temerario ma certamente determinato. Probabilmente la perdita del lavoro e il presagio di una possibile inversione del suo livello di benessere avevano allentato le difese e causato qualche crepa che aveva agevolato l’intrusione di quel senso di incertezza e di velata paura che gli aveva incupito l’animo e infiammato lo stomaco.
Diede un’altra occhiata al pacco che gli era stato appena consegnato. Un misto di curiosità e livore accese il suo sguardo.
Gianfranco l’avrebbe pagata a caro prezzo. Meditava vendetta.
“Avrebbe segnalato la sua mail e il suo numero di cellulare in lungo e in largo nella rete. Avrebbe inondato la sua casella di posta elettronica e la segreteria telefonica di spam e messaggi di offerte di mirabolanti creme per l’allungamento di quella grandissima testa di cazzo che si ritrovava”, così pensava chiudendosi la porta alle spalle e assaporando un senso di sicurezza e protezione che, almeno per un attimo lo acquietò.
«Vaffanculo a te e alla Piattaforma».
La curiosità, tuttavia, lo spingeva ad aprire quel misterioso involto.
Ripensava al numero di messaggi che avevano ingolfato il suo cellulare nei giorni precedenti, tutti provenienti dal medesimo mittente: #la Piattaforma.
Considerò poi l’interesse che essa aveva suscitato nei suoi amici e in Sabina; in persone che considerava dotate di una certa intelligenza e autonomia di pensiero.
Negli ultimi giorni si era sentito come assediato, circondato e stretto in un angolo nell’impossibilità di muoversi in piena libertà e soprattutto indotto a prendere decisioni contro la sua volontà. Ed era forse questa la cosa che lo faceva incazzare di più.
Soppesò il pacchetto ripensando alla spiegazione dettagliata, seppur sgrammaticata, con la quale Alfredo, Gianfranco e lo stesso cameriere lo avevano edotto sul funzionamento e lo scopo di quella comunità virtuale.
Cosa spingeva tutte quelle persone a iscriversi e a discutere, molto probabilmente di argomenti per i quali non avevano alcuna preparazione? Il suo scetticismo e la sua componente anarchica e probabilmente anaffettiva avevano smorzato ogni entusiasmo. E forse proprio per questo Gianfranco aveva deciso di tirargli quel brutto scherzo.
Posò la scatola sul tavolo della cucina e si avvicino alla piccola cantinetta dove teneva la sua scorta di vini. La sua riserva si stava assottigliando e la vista di tutti quegli spazi vuoti lo risucchiò nella realtà della sua nuova condizione economica.
Avrebbe dovuto centellinare le sue bevute e limitare il consumo. Lo avrebbe fatto, ma non aveva intenzione certo di cominciare adesso.
Stappò una bottiglia e senza nemmeno aspettare che l’aria ammorbidisse gli umori alcolici riempì un calice bevendolo con avidità.
«Si fotta la Piattaforma! Ho altri cazzi per la testa!», esclamò accantonando gli interrogativi che quella consegna aveva sollevato.
Si era ripromesso di contattare alcuni amici e conoscenti che, forse, avrebbero potuto dargli una mano o addirittura assumerlo.
«L’agenda. Dove diavolo ho messo la mia agenda?», si domandò posando distrattamente il calice sul tavolo. Il bicchiere si accasciò di lato cominciando a rotolare pericolosamente verso il bordo. Ermes interruppe appena in tempo quella fuga disperata.
“Un altro bicchiere rotto, proprio no”, considerò rammentando ancora le schegge che avevano trafitto il suo piede a casa di Sabina.
«Sabina», disse a mezza voce.
Considerò la possibilità di telefonarle e tentare di ricucire uno strappo che gli appariva ormai irrimediabile.
“Dopo. La chiamerò dopo. Prima devo cercare quella stramaledetta agenda”, pensò spostandosi in salotto e cominciando a rovistare nei cassetti della scrivania e spostando la pila di libri che occupava quasi interamente il piano di lavoro.
Ricordava di averla vista da quelle parti, ma non era in grado di stabilire con assoluta precisione quando quell’incontro si fosse verificato.
“Hai una vita sociale di merda”, fu costretto ad ammettere a denti stretti.
L’equilibrio precario di un’alta catasta di volumi cedette alle vibrazioni che i suoi movimenti privi di grazia e coordinazione avevano causato.
I fratelli Karamazov, L’idiota e Delitto e Castigo rovinarono pesantemente sul pavimento trascinando con sé tutta la pletora di personaggi dai nomi impronunciabili.
Ermes tirò giù alcune madonne per rinfoltire la compagnia.
Poi con la coda dell’occhio, proprio accanto a Memorie del sottosuolo, la vide.
Una sottile patina biancastra opacizzava la lucida copertina rossa.
Ermes non poté non notare il curioso, ma azzeccato accostamento. I numeri che stava cercando rappresentavano ricordi e periodi lontani nel tempo. Il suo sottosuolo, la sua memoria sgualcita e impolverata esattamente come lo era la copertina di quella rubrica.
La prese, cercò di ravvivarne i colori aiutandosi con la manica del maglione, quindi la aprì passando in rassegna le lettere dell’alfabeto alla ricerca dei contatti che gli interessavano e verso i quali, in quel momento nutriva un certo grado di aspettative.
Il tempo trascorso aveva arrugginito la sua memoria e considerò, condendo questo pensiero con un mezzo sorriso, che ricordava con maggiore agilità i nomi dei personaggi di Dostoevskij che non quelli di coloro che aveva considerato un tempo, probabilmente, anche come amici.
Si rese conto, con una certa amarezza, che quei compagni di carta avevano riempito la sua vita con maggiore calore di quello che aveva ricevuto dalle persone in carne e ossa.
La cosa lo incupì particolarmente. Scacciò via quella mestizia da pessimo esistenzialista e puntò l’indice sul primo numero che aveva intenzione di contattare.
«Edgardo Moretti».
Lo aveva incontrato ad una fiera del libro ed era rimasto affascinato dalla ricercatezza del suo catalogo e dalla cura con cui presentava le sue opere. Si trattava di saggi e edizioni critiche dei grandi classici della letteratura.
Avevano discusso a lungo e condiviso la medesima analisi, rincuorandosi a vicenda circa la necessità di rimanere in trincea per impedire una definitiva disfatta.
Edgardo Moretti era la persona giusta per poter ripartire di slancio e dimenticare rapidamente la delusione patita a causa del commendatore Strozzi.
Compose il numero, incrociando le dita e confidando che il tempo trascorso non avesse reso obsoleto quel recapito.
Lasciò squillare a lungo, aggrappandosi con tutte le forze che aveva ad ogni trillo. Stava ormai per rinunciare quando una voce risuonò nelle sue orecchie.
«Pronto?»
«Edgardo? Parlo con Edgardo Moretti?», domandò Ermes con tono titubante.