#errata-corrige Pt.6 (racconto a puntate di Vincenzo Maimone)

(di Vincenzo Maimone)

Ieri sera una mia carissima amica, Grazia Di Bella, mi ha proposto: “Perché non scrivi un racconto a puntate e lo posti?”, aggiungendo, “faresti felici tante persone”. Di fronte alla possibilità di migliorare lo stato d’animo delle persone, in tempi sospesi come questi, mi sembrava doveroso accettare l’invito. Ecco la sesta puntata del racconto. Il protagonista è Ermes Lazzari, di professione correttore di bozze.

Vincenzo Maimone, 17 marzo 2020

ERRATA CORRIGE

Puntata #6

Un tuono possente risvegliò Ermes. La pioggia tamburellava con forza sui vetri della finestra. Socchiuse gli occhi. Una luce pallida illuminava la stanza. Il cielo cupo era rischiarato da qualche temerario raggio di sole.

Aveva decisamente esagerato con il vino. La testa gli doleva e il corpo si rifiutava categoricamente di saltar fuori dal letto e dare inizio ad una giornata che non avrebbe avuto nulla da invidiare a quella precedente. Guardò svogliatamente la sveglia posta sul comodino e nonostante la strenua resistenza opposta dalla sua schiena si alzò e si trascinò fino alla cucina. Le bottiglie vuote di Syrah proiettavano la loro ombra ambrata sul tavolo. Ermes le guardò con un’espressione in cui si mescolavano commiserazione e compiacimento. Un’altra fitta alla testa lo costrinse a distogliere lo sguardo.

“Un caffè. Forte, bollente e amaro”.

Non necessitava che di questo per rimettere in sesto gli ingranaggi inceppati dalla sbornia con cui aveva deciso di accentuare le contrarietà del giorno prima.

I suoi movimenti erano ancora incerti, privi di precisione. Rovesciò sul tavolo buona parte della polvere di caffè destinata a riempire il filtro della moka. Condì quella operazione con un paio di salmi recitati con vigore e devozione.

Si sedette attendendo di poter sorbire, finalmente, quell’elisir mattutino. La testa gli pesava come un macigno e un sapore acre gli impastava la bocca. I pensieri erano ancora aggrovigliati e ci avrebbe messo un bel po’ e sicuramente gli sarebbe servita più di una tazza di caffè per districare quell’intricata matassa.

Lavoro, affetti e amicizia. Tutto era stato messo in discussione a causa sua, ma non soltanto. Stabilì che avrebbe fissato delle priorità per cercare di riparare quei danni o quanto meno ridurre il disagio e la rottura di coglioni. Il borbottio della caffettiera preannunciò l’inizio dei lavori di ristrutturazione della sua vita. Prese dalla credenza la tazza grande, quella delle grandi occasioni, e versò senza timore il liquido fumante.

Le sue previsioni erano state fin troppo ottimistiche. L’effetto del caffè si rivelò essere più blando di quanto si aspettasse. Sarebbe arrivato in ritardo anche quella mattina ma, stranamente, la cosa non gli destò alcun senso di colpa. Qualcosa si era irrimediabilmente rotto dopo la discussione intercorsa con il commendatore. Il legame di reciproca fiducia si era incrinato e la cosa aveva finito con l’erodere quel senso di appartenenza ad un progetto comune che, nei primi tempi, avevano reso persino piacevole il suo lavoro. Dopo l’ennesima lezione di economia spicciola sorbitasi nell’ufficio del suo superiore, Ermes concluse che di quel lavoro non gliene fregava più un cazzo.

La sola idea di dover rendere leggibile un’altra delle porcherie proposte dal comitato editoriale, lo metteva a disagio e faceva risalire, dal profondo delle sue viscere, un rigurgito acido.

Degli altri due punti si sarebbe occupato più tardi. Sapeva che la cosa migliore da fare con Sabina era lasciare sedimentare le ragioni del litigio e affrontare la situazione quando la temperatura emotiva fosse stata più mite. L’avrebbe chiamata nel corso della mattinata e l’avrebbe invitata a discutere di quanto accaduto davanti a una cioccolata calda. La pioggia e il freddo incipiente lo avrebbero aiutato a rendere più intima quella situazione.

Con Gianfranco la situazione era differente. Ermes meditava vendetta e lo avrebbe cazziato dalla testa ai piedi, ma considerava il suo scherzo come una questione secondaria che avrebbe potuto attendere ancora qualche giorno prima di essere archiviata.

Lasciò che il tepore avvolgente della doccia lavasse via gli ultimi residui della sbronza. Il dado era ormai tratto e dunque decise di prendersela comoda senza farsi assillare dalla premura. Considerò quegli istanti come un vero e proprio atto di liberazione. La cosa sorprendente era l’assoluta mancanza di timore o incertezza nei riguardi della scelta che aveva maturato. Era perfettamente consapevole che ciò che lo aveva impegnato negli ultimi anni, con un dispendio di energia, di tempo e di risorse mentali che adesso giudicava impietosamente eccessivo, non meritava ulteriormente il suo coinvolgimento. Si era illuso che cercare di dare un senso alle parole degli altri, a quei vocaboli messi un po’ a casaccio e privi di una logica chiara, avrebbe contribuito a rendere il mondo un posto migliore; avrebbe permesso alla cultura di crescere e progredire.

“Che coglione sono stato”, pensò tra sé e sé.

E invece, a sua insaputa, stava avvenendo esattamente il contrario. Era questa adesso l’unica conclusione che si poteva trarre sulla base degli elementi che aveva a disposizione. Il suo sforzo di rendere coerente la forma espressiva e comprensibile a tutti il messaggio, cozzava con la regressione in atto. Quella sciatteria stilistica, quella povertà di idee che ritrovava, ormai sempre più spesso, tra le pagine sottoposte alla sua opera di revisione non erano frutto di una sfortunata selezione, ma erano la più chiara espressione del mondo reale. E il discorso del suo direttore confermava questa tesi. Per tale ragione sentiva che la sua presenza era adesso del tutto incompatibile con quella professione. Si considerava un sopravvissuto. L’ultimo baluardo prima della capitolazione definitiva. L’ultimo dei correttori, accerchiato e sotto un pressante assedio, in un mondo incorreggibile.

Si asciugò rapidamente e mise tra parentesi le sue riflessioni che, evidentemente, risentivano ancora dei fumi alcolici.

«Dannata sbornia triste», mormorò a mezza voce.

Si vestì e prima di uscire di casa accese il cellulare. Una valanga di notifiche lo sommerse. Alzò gli occhi al cielo accompagnando ogni annuncio di una nuova notifica con un’imprecazione e un “ora pro nobis”.

Iniziò a scorrere la lista dei messaggi in entrata, nella speranza che tra di essi ve ne fosse qualcuno, almeno uno, di Sabina. La sua aspettativa fu totalmente delusa. Non vi era alcuna traccia di lei. Il barometro segnava, evidentemente, ancora burrasca. E con quel mare era meglio rinunciare al tentativo di qualsivoglia navigazione.

#laPiattaforma

#laPiattaforma

#la Piattaforma

Il display continuava a visualizzare, senza soluzione di continuità, messaggi provenienti da un unico mittente.

«Vaffanculo, Gianfranco!», sbottò Ermes.

La sua casella di posta era satura di messaggi. Un altro assedio e un altro accerchiamento dal quale non sapeva ancora come difendersi. Cercò di ridurre la violenza di quell’attacco disattivando la suoneria. Lasciò scivolare il telefono nel suo zaino, quindi uscì chiudendosi la porta alle spalle.

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