#errata-corrige Pt.4 (racconto a puntate di Vincenzo Maimone)

(di Vincenzo Maimone)

Ieri sera una mia carissima amica, Grazia Di Bella, mi ha proposto: “Perché non scrivi un racconto a puntate e lo posti?”, aggiungendo, “faresti felici tante persone”. Di fronte alla possibilità di migliorare lo stato d’animo delle persone, in tempi sospesi come questi, mi sembrava doveroso accettare l’invito. Ecco la quarta puntata del racconto. Il protagonista è Ermes Lazzari,di professione correttore di bozze.

Vincenzo Maimone, 17 marzo 2020

ERRATA CORRIGE

Puntata #4

Senza alcuna esitazione e mettendo da parte angoscia e senso di colpa, aprì il messaggio per capire meglio di cosa si trattasse.

“Benvenuto nella Piattaforma. Da oggi anche tu potrai partecipare a questo innovativo esperimento di democrazia…”.

Ermes lesse con attenzione e man mano che le parole scorrevano lungo lo schermo, una strana sensazione cominciò a farsi largo nella sua testa. Era come se quelle parole, quella descrizione, non gli fossero estranee. Ricordava di averle già sentite, di averle ascoltate nell’esatto ordine in cui le stava adesso leggendo. Riprese dall’inizio il testo per cercare di recuperare quel ricordo che, era certo, non fosse poi così remoto. Lesse e rilesse per almeno tre volte il messaggio, poi finalmente il ricordo fece breccia nella memoria e si palesò in maniera nitida.

Erano le stesse parole che aveva sentito pronunciare a Gianfranco la sera prima al ristorante. Era per quelle frasi, e per il tono in cui erano state pronunciate, che nutriva delle perplessità sullo stato di salute del suo vecchio amico. Rammentava di averlo confidato anche a Sabina.

E adesso quella definizione, recitata con algido distacco dall’amico, scorreva davanti ai suoi occhi.

Il messaggio si chiudeva con l’annuncio dell’invio di un kit personalizzato e con la richiesta di confermare l’iscrizione alla piattaforma mediante un semplice click ad un link evidenziato.

Ermes rimase abbastanza stupito da quella mail. Certo non era la prima volta che la sua casella postale era bersaglio di un’invasione da parte di messaggi spam: una mirabolante cura contro le emorroidi, l’irrifiutabile proposta di allungamento del pene, l’offerta di confezioni maxi di Viagra o l’annuncio di una cospicua eredità ricevuta da un perfetto sconosciuto. L’elenco era lungo e non risparmiava nessun ambito pubblico o privato. Ermes in tutti quei casi aveva semplicemente spostato nel cestino tutta quella spazzatura e rinfrescato l’aria della sua casella postale. Ma ciò che lo colpiva di quel messaggio non era il contenuto quanto la contemporaneità con la discussione avvenuta la sera prima. Ed escludendo la possibilità che avesse lui stesso chiesto di iscriversi ad un social network di cui aveva solo sentito parlare, non restava che una e una sola ragionevole risposta.

“Che maledetto coglione!”, pensò Ermes.

Non c’era altra spiegazione. Era stato Gianfranco a tirargli quel brutto scherzo. Si trattava di uno dei suoi innumerevoli modi per procurargli dei fastidiosi giramenti di palle. Immaginava quanto, in quel momento, se la stesse ridendo seduto comodamente sulla sua poltrona davanti al televisore.

Evidenziò il messaggio e lo cestinò aggiungendolo al resto del pattume elettronico. Considerava chiusa la faccenda e si apprestava a comporre il numero di Sabina. Ma ancora una volta il suo dito rimase sospeso a mezz’aria sopra il display.

L’elenco di messaggi che recavano la medesima intestazione di quello appena eliminato proseguiva in una catena che gli sembrò interminabile.

Iniziò a aprire le mail e man mano che procedeva nella lettura sentiva crescere in lui un sentimento di sgomento e, nello stesso tempo, montare l’incazzatura nei confronti di Gianfranco e di quella sua indebita invasione del suo privato.

Ciò che attirò l’attenzione di Ermes era la natura del tono che la conversazione andava via via assumendo.

I messaggi, inviati a breve distanza l’uno dall’altro, inizialmente, si mantenevano entro un ambito di civile e educata comunicazione. Il testo sollecitava il completamento della registrazione al fine di consentire l’invio del kit e l’inizio di quella esperienza che, come assicurava l’amministratore del network, avrebbe cambiato radicalmente il modo di fare politica e di stabilire le priorità dell’agenda pubblica. In maniera ossessiva e ridondante si ripetevano le parole: “democrazia diretta”, “movimento”, “appartenenza”.

Ermes leggeva e cestinava sfoltendo l’elenco della posta inevasa. Poi ad un tratto, la modalità comunicativa si era fatta più spigolosa, rigida. Ad una colloquiale benevolenza si andava sostituendo una crescente protervia. La scelta dei vocaboli, adesso, si orientava verso un richiamo al dovere nei confronti del gruppo, al rispetto della parola data e alle conseguenze derivanti da un’eventuale inadempienza.

“Ma quale parola data? E soprattutto quale gruppo?”, pensò Ermes.

Quelle parole gli suonavano stonate e inadeguate al contesto. Aveva sempre nutrito un certo scetticismo nei confronti del termine appartenenza. Il suo spirito anarchico lo spingeva ad evitare qualunque forma di obbedienza rigida. Figuriamoci poi una per la quale non aveva espresso, né direttamente né indirettamente, alcuna adesione.

Il suo rancore verso Gianfranco lievitava sempre di più.

La sua opera di smaltimento proseguiva. Evitò di leggere quelle mail che ad una prima occhiata gli apparivano delle inutili ripetizioni del medesimo avviso. Si soffermò invece sull’ultima comunicazione. Il messaggio annunciava che, data la sua reticenza e nonostante le ripetute sollecitazioni, il gruppo aveva confermato d’ufficio la sua iscrizione e che tutto era già stato predisposto per la spedizione del kit. La comunicazione terminava con un monito, che Ermes lesse come una velata minaccia, a rispettare, da quel momento in poi, le modalità e i tempi delle deliberazioni alle quali avrebbe dovuto partecipare.

“Dovuto”, era proprio questo il verbo utilizzato e per non lasciare alcun adito a dubbi era stata scritto persino in grassetto.

«Questa è pura follia!», esclamò Ermes con un gesto di stizza.

Cercò in calce alla mail le informazioni relative alla modalità di revoca dell’iscrizione.

Nulla.

Nella lettera non vi era alcun richiamo alla normativa a tutela della privacy, né tantomeno era prevista la possibilità di recedere da quell’assurdo vincolo.

Quella che la Piattaforma, con la complicità del suo amico, aveva ordito nei suoi confronti era una vera e propria trappola mediatica.

“Vaffanculo!”, continuava a ripetere nella sua testa, Ermes.

Eliminò anche quell’ultimo messaggio. Ciò che decise di fare era di lasciare che la cosa si esaurisse in maniera spontanea. In fondo, pensava, sarebbe stato sufficiente, astenersi da ogni partecipazione a forum e votazioni. Cosa avrebbero potuto fargli, d’altra parte?

«Che si fottano», concluse svuotando il cestino e eliminando definitivamente le tracce di quel carteggio.

Sabina.

Era questo adesso il suo pensiero principale. Nient’altro doveva frapporsi tra lui e lo spiacevole equivoco che aveva tracciato un solco profondo in quella che, tutto sommato, gli sembrava essere una storia con qualche chance di futuro.

Il telefono squillò a lungo a vuoto. La cosa non deponeva certo a favore di una rapida ricomposizione del conflitto. Ermes, tuttavia, non aveva intenzione di desistere. C’erano tante ragioni che potevano giustificare quelle mancate risposte. Il risentimento era soltanto una delle possibili motivazioni.

Fu solo al decimo tentativo che Sabina decise di porre fine a quell’assedio.

«Che cosa vuoi? Non ce l’hai un orologio? È una giornata che non ti fai sentire e adesso hai tutta questa premura!», rispose Sabina con un tono gelido e distaccato.

«Scu…scusa», farfugliò Ermes che, all’improvviso, sembrava aver perso ogni sicurezza.

«Se non intendevi proseguire la nostra storia. Se ti bastava una botta e via, potevi anche dirmelo», lo incalzò Sabina.

«Non è come pensi, lasciami spiegare», rispose Ermes, pentendosi all’istante della sua replica che, in un colpo solo, aveva tirato in ballo il tipico cliché di chi ha veramente qualcosa da nascondere.

«E vediamo, cosa starei pensando secondo te? Certo che potevi studiare un modo più originale per chiedere scusa», lo bacchettò Sabina.

Ermes rimase in silenzio qualche istante cercando di raccogliere i suoi pensieri e di rimettere insieme i cocci di quella conversazione.

«Sono stato sul punto di perdere il mio lavoro oggi. Ho avuto un’accesa discussione con il mio principale», argomentò Ermes.

«E tutto questo cosa ha a che fare con noi? Che bisogno avevi di isolarti da me?», replicò Sabina.

La scelta di tagliare i ponti con tutti apparve adesso ad Ermes una colossale stronzata.

«Hai ragione. Ma avevo i nervi a fior di pelle e non avevo voglia di parlare con nessuno», si difese Ermes.

«Quindi io sarei nessuno per te. Grazie tante! Hai chiamato per dirmi di questo? Non era necessario. Lo avevo intuito da sola. Ti saluto, Ermes. Stammi bene», concluse Sabina, interrompendo la telefonata.

Ermes balbettò qualcosa di incomprensibile.

Aveva giocato davvero male le sue carte. Forse, per quella sera, avrebbe dovuto dare ascolto alla sua vigliaccheria.

Posò il telefono sul tavolo, si versò da bere e si accasciò sulla poltrona.

Trangugiò tutto d’un fiato il vino e lasciò che calasse il sipario su una giornata complessivamente di merda.

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