(a cura di Dario Villasanta)
Speciale approfondimento: DELITTO E CULTURA (seconda parte)
Calabrese di Locri, scrive di mafie e soprattutto di ‘ndrangheta, la ‘maffia’ calabrese, cioè della sua terra. E’ Giuseppe Baldessarro, giornalista di La Repubblica che non si accontenta di riportare la cronaca, ma ha fatto dello studio delle mafie e dell’impegno civile a divulgarne le dinamiche una sua ragione di vita. Ma va da sé, un Calabrese che si rispetti prende sul personale, a buona ragione, questa piaga che infetta la sua terra e la sua gente. Ha scritto anche dei libri sull’argomento, Giuseppe (che per tutti è Peppe), sposando il taglio cronachistico del giornalista con l’empatia della narrazione di storie che sembrano lontani anni luce, ma sono accanto a noi nel più insospettabile angolo del nostro quotidiano. In questa intervista leggeremo le sue opinioni in materia di mafie e di come crede sia meglio affrontarle.
Peppe, è notizia fresca la decisione della Corte costituzionale di ritenere l’ergastolo ostativo (il ‘fine pena mai’ per i mafiosi, senza benefici salvo collaborazioni) lesivo dei diritti umani, su sollecito della Corte europea. Opinioni discordanti: chi dice che gli altri Paesi non hanno idea di cosa sia la mafia, chi dice che i diritti sono tali per tutti, chi ha dimostrato che l’eccezione può esistere e via discorrendo. Qual è la tua posizione in merito, e perché?
La Corte fa un ragionamento generale sulle restrizioni che riguarda tutti i detenuti. I detenuti per reati di mafia, se guardiamo al contesto europeo, in realtà sono un’eccezione. Basti pensare che in molti Stati non esiste neppure il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. Si tratta dunque di un provvedimento in astratto ineccepibile. Credo che lo scoglio sia superabile se si inizia a ragionare di norme antimafia europee e non più di singoli Paesi.

BALDESSARRO con GAETANO SAFFIOTI imprenditore calabrese ribellatosi alla ‘ndrangheta
In generale quindi credi che all’estero abbiano una percezione verosimile della cultura mafiosa, o mancano loro appunto dei tasselli? Nel caso, come si fa a spiegargliela?
In Europa hanno una conoscenza parziale del fenomeno. Non dimentichiamo che le mafie, intese per mafie italiane, hanno radici nel nostro Paese e nel resto d’Europa sono presenti con modalità operative diverse, funzionali alla loro mimetizzazione. Ci vorrà del tempo per spiegarlo, ma soprattutto ce ne vorrà per far capire agli altri stati che se non si attrezzano la loro economia, libertà e società ne risentirà in maniera consistente.
A dare ascolto alla ‘pancia’ della gente sembra che molti, sempre di più in apparenza, desiderino fortemente un sistema penale afflittivo anziché rieducativo. Tralasciando chi diffonde tali amenità, credi davvero che la maggioranza degli Italiani voglia seriamente che i responsabili di crimini gravi debbano non solo marcire in carcere, ma addirittura gradirebbero la pena di morte per certi reati? E come glielo spieghiamo che se i paesi civili l’hanno abolita c’è una ragione pratica, e non solo etica?
La pancia del Paese tende ad estremizzare un problema reale. Il problema non è l’inasprimento delle pene, ma la certezza della pena vero ventre molle del sistema Italia.
Cosa manca al sistema giudiziario e carcerario italiano per assolvere al dovere di tentare la rieducazione del detenuto (art. 53 della Costituzione)?
Manca l’applicazione pratica di un principio sacrosanto. La rieducazione non può essere affidata alla sola detenzione. Nelle carceri manca ascolto, formazione, occasioni di lavoro, ma soprattutto manca personale in numero adeguato.

BALDESSARRO con DARIO VILLASANTA in Appennino Bolognese spiegando le infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna
Da giornalista specializzato sull’argomento, tu pensi che i media ci raccontino in modo esaustivo i fatti giudiziari e le varie sentenze, oppure c’è qualche lacuna da colmare? Anche perché, personalmente, non credo che molti conoscessero l’ergastolo ostativo fino all’altro ieri, ma solo la parola ergastolo e men che meno a chi fosse riservato.
L’informazione segue di pari passo la sensibilità del Paese. Se la società (il lettore) non è interessata alla conoscenza del fenomeno anche l’attenzione dei media cala. E’ un gatto che si morde la coda. Come vedi dopo il dibattito dei primi giorni di ergastolo ostativo non si parla più. I lettori non chiedono di sapere come è finita questa storia e che ripercussioni avrà sulla vita reale, di conseguenza i media non se ne occupano più.
Secondo te esiste ancora la figura ‘mito’ del mafioso potente e ricco che ha affascinato orribilmente tanti giovani, soprattutto al Sud, o tale miraggio sta perdendo lustro, visto che siamo nel 2019 e l’informazione e le idee viaggiano veloci e lontano?
Esiste ed è un fenomeno più attuale che mai. Il mito del mafioso ricco e potente va di pari passo con il mito del denaro quale elemento di riscatto sociale. I ragazzi pensano sempre di più che la risposta alle loro mille frustrazioni sia la conquista della ricchezza. Oggi questo è ancora più vero perché i giovani non vedono alternative. Una volta si pensava che per emergere nella società fosse necessario essere qualcuno (un professionista, un politico, un imprenditore) oggi è passata l’idea che per emergere basti avere qualcosa (soldi e potere). Le mafie sono una via più facile e accessibile da percorrere rispetto ad esempio allo studio.

La discussa serie televisiva di Saviano, collega di BALDESSARRO a La Repubblica
Ma l’Italiano sa davvero cos’è la mafia? Perché spesso ho l’impressione che creda di conoscerla perché ha guardato una fiction, non perché si rende davvero conto di cosa sia.
Hai ragione gli italiani pensano di conoscere le mafie. In realtà il fenomeno è più complesso di quello mostrato dalla fiction che, necessariamente, ne danno un’immagine stereotipata e semplicistica.
A proposito, le fiction e i film su mafia, camorra e similari sono davvero deleteri per le nuove generazioni, o accetti la tesi di chi sostiene che raccontano semplicemente la realtà e quindi sia giusto così?
Io credo che siano deleteri perché si rivolgono a un pubblico non strutturato culturalmente a comprendere la differenza tra una fiction e la realtà, l’esigenza di spettacolarizzare un fenomeno e la realtà, spesso più banale, del fenomeno stesso.
La scuola, a cominciare dalle elementari, credi che oggigiorno abbia un potere reale di influenzare in positivo la mentalità dei giovani, o è disarmata?
Secondo me la scuola può giocare un ruolo importante. Ovviamente gli insegnanti devono essere preparati ad affrontare temi così delicati. Per ora gli insegnanti davvero all’altezza non sono molti.
La Cassazione del processo ‘Mafia capitale’ ha decretato che il famigerato ‘mondo di mezzo’ non è mafia, bensì solo corruzione, o ‘malcostume italiano’ e questo pensiero non è isolato. Ci spieghi che differenza c’è?
Probabilmente la Cassazione non ha riscontrato tutti gli elementi che devono essere presenti per stabilire che si tratta di mafia. Bisognerà leggere le motivazioni della sentenza per sapere cosa manca a Mafia capitale per essere mafia. Credo, vado a spanne, che a Roma sia mancato il fenomeno del controllo del territorio (elemento importante) e l’uso dell’intimidazione violenza come sistema fondante dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. La verità è che le mafie sono cambiate (l’uso della violenza in molti casi è sostituita dalla corruzione, non si minaccia ma si compra), ma non sono cambiate le leggi per combatterle, forse il codice andrebbe aggiornato.
Leggi l’articolo precedente: Sicurezza o percezione della sicurezza? Susanna Marietti (Ass. Antigone) e i diritti degli ultimi
Chi è Giuseppe Baldessarro:
(Locri 1967), giornalista professionista, è profondo conoscitore delle dinamiche delle organizzazioni criminali; dal 2005 scrive per «la Repubblica». È stato redattore del «Quotidiano della Calabria»; consulente dei programmi Pane e politica, W l’Italia in diretta e Presa diretta di Riccardo Iacona su Rai Tre e Malpelo di Alessandro Sortino su La7; nel 2015 ha curato la direzione editoriale del periodico d’informazione antimafia «Narcomafie». È autore con Manuela Iatì di Avvelenati (2010) e con Gianluca Ursini del Caso Fallara (2013), coautore del Dem-Dizionario enciclopedico delle mafie in Italia (2013) e del volume Io non taccio (2015) vincitore del premio “Piersanti Mattarella” (2016). Tra gli altri riconoscimenti ricevuti per l’attività giornalistica e di autore di libri inchiesta, ricordiamo i premi: “pippo Fava” (2010), “Borsellino” (2011), “Agende Rosse” (2011) e “Matita rossa matita blu” (2011)
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