Sicurezza o percezione della sicurezza? Susanna Marietti (Ass. Antigone) e i diritti degli ultimi

(di Dario Villasanta)

Speciale approfondimento: DELITTO E CULTURA (prima parte)

Cosa c’entra la Cultura con l’argomento Giustizia? Dovreste saperlo già da voi, ma facciamo finta che non lo sappiamo, quindi spiego così questa scelta di intervistare Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Associazione Antigone: la Cultura vera, la Filosofia, quello che si impara sui libri non si ferma alle pagine che sono state lette, ai bei discorsi senza costrutto né al mero elevarsi sopra un piedistallo d’argilla da cui brillare di luce riflessa dalla realtà. La realtà è ben altro, la cultura ci tocca, e se c’è un modo in cui diventa concreta è proprio nell’attività di Associazione Antigone, che da più di trent’anni si accerta che vengano rispettati i diritti umani dei carcerati, o degli internati, nonché di diritti umani in generale. Con Susanna lavorano esperti giuristi e non solo, personaggi che hanno monitorato nel mondo i sistemi carcerari e il relativo rispetto della persona in generale, traendone alcuni debiti paragoni e idee. Cito, tra gli altri, Michele Miravalle, Alessio Scandurra, Filomena Chiarelli e Antonella Calcaterra perché ho avuto modo di conoscerli di persona e appurare i loro grado di conoscenza nell’ambito di un mio impegno personale su questi argomenti.

Ecco dunque, in un periodo in cui è stata sollevata un’emergenza sicurezza e le reazioni di pancia degli Italiani sono state parecchie e a volte sconcertanti, perché ho voluto fortemente Susanna ospite qui a Scrivere Senza Parole per dire la sua su alcuni degli argomenti ‘caldi’ di questo particolare periodo storico-sociale del nostro Paese che, nel bene o nel male, rimarrà nella Storia.

Susanna, partiamo da una citazione celebre: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.” Era Dostoevskij, altri tempi e altri luoghi, ma la frase resta immortale perché lui parla si ‘società’, non di ‘Stato’. Vuoi darci – come preambolo logico a quanto diremo in seguito – una tua interpretazione moderna di queste parole e, se lo ritieni, anche la differenza tra il citare ‘Stato’ o ‘società’?

La società risponde a un concetto più ampio di quello di Stato, comprendendo in sé non solamente l’autorità pubblica. La società ha un grande potete di controllo sullo Stato stesso e le sue istituzioni. È fondamentale che non abdichi a questo ruolo e che non si dimentichi alcune sue parti. Il carcere è un pezzo di società, ma troppo spesso viene dimenticato. Quando invece la società se ne fa carico, quando guarda dietro quelle mura, riesce a operare una forte prevenzione rispetto alle possibilità di abusi e violazioni dello stato di diritto. È quello che Antigone ha tentato di fare con il proprio Osservatorio sulle condizioni di detenzione e con altri strumenti. E credo che negli anni i risultati si siano visti. Quindi una società “civile” può portare a un carcere civile, come nella frase di Dostoevskij. Che comunque rimane una evocazione, perché non sempre lo Stato lo permette.

SUSANNA MARIETTI alla Camera dei Deputati per un rapporto di Antigone

La Costituzione italiana prevede che le pene siano finalizzate alla rieducazione del detenuto, non devo spiegare a te che non è così o perché non ci sono le strutture e la mentalità, o perché dove ci sono funzionano poco e male. Sta di fatto che un ex detenuto che vuole rifarsi una vita è – non trovo altre parole – fottuto. Le grandi aziende vogliono la fedina penale, quand’anche non li impressionasse vanno a vedere dove ha scontato la pena (es. OPG, o comunità ecc.) e, se ancora non bastasse, ci sono più diritti di legge negati – dal più sciocco al più importante – agli ex carcerati che a chi ha fatto bancarotta fraudolenta. Un esempio? La Legge Bacchelli (rendita per particolari meriti nella Cultura italiana) è preclusa a un pregiudicato, Pertanto, né un Carlotto né altri ne avranno mai diritto (indegnamente, secondo me) e così anche altri ammortizzatori o incentivi sociali. Quindi come facciamo a mettere d’accordo la teoria con la pratica?

Cambiando innanzitutto la cultura diffusa. È fondamentale che si faccia su questo un’opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. La politica ha in ciò snaturato il proprio ruolo educativo. Ha raccontato tante bugie negli ultimi anni. Le campagne elettorali hanno voluto creare nemici inesistenti per poi poter promettere il loro abbattimento. Il sistema penale è diventato il sistema di lotta al nemico, che era sempre il povero, lo straniero, l’emarginato. E quindi non si è raccontato di come la commissione di reati tra chi è in misura alternativa sia rarissima e di come un ex detenuto che abbia un lavoro torni a delinquere con assai meno probabilità di un detenuto disoccupato.

Quali sono queste bugie, e come spiegare agli italiani come e dove li stanno fregando? Perché chi vive nelle periferie ha una percezione diversa della realtà rispetto ai quartieri residenziali, è innegabile. 

SUSANNA MARIETTI alla presentazione della squadra dell’Atletico Diritti

Le bugie sono che stiamo subendo un’invasione dall’Africa (basta guardare i numeri ufficiali del Ministero dell’Interno per vedere che il numero di sbarchi non è certo preoccupante) e che siamo un paese di delinquenti da strada dove bisogna aver paura ad andare in giro (i reati commessi in Italia sono in numero inferiore rispetto a tanti altri paesi europei). Se la televisione e la politica continuano a gridare dalla mattina alla sera queste bugie, ovviamente le persone ci crederanno. E lo faranno in misura maggiore coloro che hanno meno strumento culturali per cercarsi da soli le fonti autentiche di informazione (le periferie, appunto). Ma questa non è la sicurezza: è la percezione della sicurezza, che mai dovrebbe orientare bensì dovrebbe essere orientata.

I temi della Giustizia di cui si sente urgenza sono altri, ma toccano la pancia degli italiani: ergastolo e pena di morte. Non perché mai alcun giurista serio la riproporrà, né in Italia né altrove nei paesi più civili (gli USA sono ambiente a parte, parola ‘civiltà’ compresa) ma perché è stata fatta sentire l’urgenza di una protezione ulteriore dei cittadini, che ormai avvertono minacce non irreali, ma quanto meno esagerate. Andiamo con ordine: vuoi spiegarci – dati alla mano – perché eventuali inasprimenti di pena sarebbero da dedicare alle truffe e sfruttamento sul lavoro e non, giusto come esempio, a furti e omicidi?

Abbiamo un codice penale che risale all’era fascista, le pene edittali sono già abbastanza alte. E nessuna pena edittale innalzata ha mai impedito il crimine. Nessuno prima di fare una rapina guarda i massimi e i minimi. Quindi non mi pare questo il punto in generale.

Aggiungo io, Susanna, che secondo un vostro rapporto di uno/due anni fa fu evidenziato come tutti i reati sono in diminuzione – (Leggi il rapporto completo cliccando qui) e credo sia ancora così – tranne quelli da ‘colletti bianchi’ e lo sfruttamento/ truffe sul lavoro, da lì il vostro parere contrario – per usare un eufemismo – all’urgenza di nuovi ‘decreti sicurezza’.

Detto ciò, andiamo a cercare di capire – e far capire – perché la pena di morte non è contemplata in Italia, cosa che molta gente, sull’onda della rabbia e della paura, oggi istituirebbe volentieri. E’ un problema culturale Susanna, e se è vero che nessuno la proporrà mai a breve, chi ci garantisce che non torni a invadere la mente delle prossime generazioni se non la giustifichiamo come scelta? Spiega dunque, per favore, le ragioni pratiche – tu che hai studiato Filosofia come me – per cui non ha motivo di esistere. So che non è breve, ma proviamo a riassumere.

La pena capitale è una pena disumana. E lo Stato non deve mai essere disumano. Non può insegnare a non uccidere facendolo a propria volta. Inoltre, si è dimostrato che la pena di morte non è alcun deterrente contro il crimine.

Tema ergastolo: qui invece, la discussione è più aderente all’oggi, e per più motivi. Soprattutto per quello ostativo. Riporto le tue parole dall’articolo del Fatto del 9/10: “Marcello Viola non ha mai voluto collaborare con i giudici, spiegando le sue paure nel lasciare la famiglia in balìa di possibili ritorsioni.” E cosa rispondi invece a chi sostiene che “il mafioso non ha nessun interesse a collaborare, giacché mette in pericolo anche la propria famiglia, se non ha nemmeno un certo vantaggio dalla collaborazione.” (è virgolettato, ma è sintesi mia delle obiezioni che ho raccolto, ndDario). Quindi sostengono in molti che la mafia è un reato diverso, da ricollocare nel nostro sistema giudiziario secondo altri valori. Perché non potrebbero avere anche ragione? D’altronde ogni regola ha le sue eccezioni.

La sentenza Viola non toglie nulla alla lotta alla mafia, che indubbiamente va perseguita con tutta la sua forza. Ma il rispetto dei diritti umani non toglie mai forza alla Giustizia. Quella sentenza dice solo che il giudice deve avere potere discrezionale, deve poter valutare caso per caso senza automatismi. Se è un bravo giudice, saprà valutare qual è il motivo per cui la persona non collabora. Non stiamo parlando di spiccioli di pena, ma di riesaminare il percorso della persona dopo circa un quarto di secolo di carcere. Riesaminarlo e magari decidere di lasciarla in cella. Non mi pare una sentenza pericolosa per nessuno.

Chiudi lo stesso articolo con questa frase (che personalmente appoggio in toto): “L’Italia dovrà adesso rivedere le proprie norme in materia di ergastolo ostativo. Non per fare favori alla mafia, non per spalancare indiscriminatamente le porte del carcere, non in termini lassisti. Ma per affermare al contrario che uno Stato forte non ha mai bisogno di sottrarre alcuna pena al proprio fine di recupero sociale.Giustissimo, uno Stato forte. Ma noi lo siamo, quello ‘Stato forte’, abbastanza per poterlo interpretare?

È quello che dobbiamo aspirare a essere. La reazione delle autorità italiane alla sentenza Viola e alla prossima sentenza della Corte Costituzionale sullo stesso tema mostrerà a che punto siamo del percorso.

Parliamo adesso del reato di tortura. Il principio penale della Costituzione vieta di usare tortura, ancorché a detenuti/condannati. Poi ci fu il G8 di Genova. Poi ci fu la sentenza europea che condannava l’Italia per quei fatti. Poi la ratificazione (almeno ufficiale) dell’Italia di quel reato, che da noi non esisteva – strano, no? – ma non ancora la configurazione ufficiale dello stesso, vale a dire: se qualcuno lo commette, ‘rischia’ ancora di essere promosso – come i responsabili di Genova – e se qualcuno lo subisce deve usare anni di risorse e ostacoli per dimostrarlo e magari non ottiene altro che flebili scuse, laddove ci sono state. Ora, come lo spieghiamo agli Italiani (termine oggi molto caro ai politici di ogni colore) che non sono tutelati contro la tortura? Perché di fatto è così.

SUSANNA MARIETTI con ILARIA CUCCHI, che Antigone ha fortemente sostenuto.

I processi culturali sono lenti. Ma qualcosa si sta muovendo. L’introduzione del reato di tortura nel Codice Penale italiano, sebbene attraverso una legge di certo migliorabile e non rispondente ai dettami delle Nazioni Unite, non rimane solo sulla carta. Proprio in questi giorni stiamo vedendo come dalle carceri si siano alzate voci di denuncia e come la magistratura le abbia raccolte, anche usando quel nuovo reato oggi a disposizione dei giudici. Il processo Cucchi è un’altra pedina in questa direzione. Noi come società civile dobbiamo lavorare affinché questo percorso non si interrompa. Serve anche a tutelare le tantissime persone oneste appartenenti alle forze di Polizia, che hanno tutto il vantaggio dal vedersi differenziati da chi ha usato la divisa al di fuori della legge.

Mi si permetta di chiudere con questa riflessone: su alcuni argomenti si potrà non esser d’accordo, ma questo Speciale non è un trattato giuridico o di Filosofia del Diritto, pertanto non abbiamo voluto dilungarci sul perché di tante teorie, ma portare un’opinione di chi affronta il problema da anni. Daremo parola anche ad altre figure, magari contrastanti, ma sarà solo per aiutarvi/aiutarci a riflettere su temi così delicati che non hanno bisogno di slogan, e non si riducono certo a una formuletta da palcoscenico o da Facebook come va di moda oggi.

Anzi, credo sarà già tanto se qualcuno ci rifletterà. Spero di indurre a tale dimenticata pratica almeno una persona in più del solito. Grazie a Susanna e a tutta Associazione Antigone.

Chi è Susanna Marietti: 

è coordinatrice nazionale di Antigone, un’associazione che dal 1991 lavora alla promozione dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. In passato ha fatto per anni ricerca in Filosofia. Curo e conduco la trasmissione radiofonica settimanale Jailhouse Rock. E’ presidente della polisportiva Atletico Diritti e tiene un blog sul giornale Il Fatto Quotidiano.

Per conoscere Associazione Antigone e i suoi rapporti, clicca qui

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