(di Maricla Pannocchia e Dario Villasanta)
‘Scrivere senza parole’, si sa, è un blog che vuole raccontare il mondo reale e quotidiano attraverso gli occhi dell’Arte e della Cultura. Poco tempo fa mi è giunta una mail da parte di una persona che asseriva di aver colto nello spirito del blog quello adatto a raccontare una sofferenza atroce, come un raro cancro che colpisce i bambini (DIPG) nell’esperienza di un cortometraggio creato allo scopo di sensibilizzare oltre che di esprimere vicinanza a tutte le famiglie colpite. Le ho chiesto dunque di dirci come si può raccontare il dolore, anzi un dolore come questo, senza cadere nel patetico né mancare di rispetto alla sofferenza altrui, e lei, coraggiosa come nel video e nell’idea che porta avanti, l’ha fatto. Vi lascio alle sue parole, che valgono molto più delle mie.
Sono Maricla Pannocchia, fondatrice e Presidente dell’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro, ideatrice del cortometraggio “Mentre te ne vai” (titolo inglese: The child who fades away). Il corto, dalla durata di 5 minuti, offre una panoramica sull’impatto di una diagnosi di DIPG (glioma diffuso intrinseco del ponte) su una bambina di sette anni e i suoi genitori.
Ho fondato l’Associazione nel 2014 e solo circa un anno fa, navigando su Facebook in gruppi e pagine straniere dedicate al cancro infantile, mi sono imbattuta in foto, testi e video di genitori i cui figli erano affetti da DIPG e sono rimasta scioccata. Come la maggior parte della gente, prima di allora non avevo mai sentito parlare di questa patologia.
Il DIPG è un tipo di cancro al cervello che colpisce quasi esclusivamente i bambini, la fascia di età più colpita è fra i 4 e gli 11 anni, però può colpire, anche se con minor frequenza, pure gli adolescenti, i giovani e gli adulti. Il DIPG è terminale alla diagnosi. I sintomi più comuni includono problemi ai movimenti dell’occhio, problemi all’udito, debolezza facciale, problemi nell’ingoiare, difficoltà a camminare o stare in piedi, mal di testa eccetera… davanti a uno o più di questi sintomi, il genitore porta il figlio dal dottore e, dopo una strada più o meno lunga e tortuosa che porta alla diagnosi, si sente dire non solo le terrificanti parole “Suo figlio ha il cancro” ma anche “questo tipo di cancro è incurabile, andate a casa e cominciate a collezionare ricordi”.
Quando ho saputo di questa realtà, come ho detto, ne sono rimasta estremamente colpita. Mi sono chiesta, com’è possibile che ancora oggi, nel 2019, con la tecnologia che ha fatto passi da gigante, la capacità dell’uomo di volare, andare sulla luna, andare sott’acqua, creare telefoni in grado di fare duecentomila cose diverse, ancora ci siano bambini che, anche nel mondo occidentale, dove le cure ovviamente sono più avanzate rispetto ai Paesi del Terzo Mondo, muoiono nell’indifferenza totale?
Da questo spunto è partita la mia idea di realizzare un cortometraggio da diffondere via Internet. Se usata bene, la tecnologia può accorciare le distanze e avvicinare tante persone verso un’unica causa. E così a inizio 2019 abbiamo girato “Mentre te ne vai”. Per parlare approfonditamente del DIPG ci vorrebbero ben più di 5 minuti, ma lo scopo del corto è quello di avvicinare le persone, specialmente chi (per fortuna) non ci è passato, a questa realtà. Il cortometraggio comincia con una coppia che cammina fuori ritmo rispetto agli altri passanti, a rappresentare l’assenza di sintonia con il resto del mondo, con la vita che continua a scorrere, e poi vediamo Sarah, una bambina di sette anni che si siede davanti a una scatola contenente i ricordi della sua vita, dall’infanzia alla vecchiaia. Scopriamo alla fine, però, che Sarah non ha mai vissuto realmente nessuna delle cose di cui ci racconta, perché il DIPG l’ha uccisa a soli sette anni.
Questo tipo di cancro è inoperabile per via della posizione del cervello in cui si trova ed è molto aggressivo. Esso priva i bambini delle basilari funzioni corporali come camminare, ingoiare, parlare, coordinarsi fino a quando, alla progressione, non impedisce anche i battiti del cuore e il respiro, conducendo il bambino alla morte. Durante la progressione della malattia, però, il cervello del bambino resta 100% lucido, lasciandolo intrappolato nel proprio corpo.
Si dice che il DIPG sia “raro”, termine che ho volutamente scritto fra virgolette. Forse a livello meramente statistico lo è, se andiamo a guardare i numeri e non i volti, i sorrisi, i nomi dei bambini che ogni mese diventano angeli per colpa di questa malattia. Basta fare un giro nelle pagine e nei gruppi Facebook dedicati al DIPG per rendersi conto che è tutt’altro che “raro”.
E’ difficile anche per me che sono una scrittrice cercare di tradurre a parole quello che si prova a leggere un post, l’ennesimo, di una famiglia distrutta dal dolore che non ha alcuna possibilità se non quella di continuare ad aggrapparsi alla speranza con le unghie e con i denti, credendo fermamente che il proprio figlio sarà il primo a guarire e a riuscire a vivere una vita lunga e “normale”. Alla diagnosi di cancro, generalmente al paziente viene proposto un piano terapeutico che può includere chemioterapia, radioterapia, operazioni chirurgiche o anche studi sperimentali per portarlo, speranzosamente, alla guarigione. Questo non succede con il DIPG. A oggi non esiste un solo trattamento che possa portare i piccoli pazienti alla guarigione. La radioterapia generalmente è utilizzata in circa il 70% dei pazienti perché può portare a quello che in inglese chiamano “honeymoon period” ovvero un arco di tempo variabile in cui i sintomi sono alleviati e il bambino può vivere una vita, se non del tutto “normale”, comunque dignitosa. In ogni caso, la radioterapia non porta alla guarigione, nel migliore dei casi regala qualche mese di vita in più.
Nel cortometraggio reciti nei panni della mamma di Sarah. Com’è stato calarsi in questo personaggio?
E’ stato sicuramente intenso e difficile. Il cortometraggio non ha battute per gli attori italiani, ma abbiamo inserito delle voci di attori madrelingua inglesi. Ho fatto questa scelta per agevolarne la diffusione a livello internazionale, ma naturalmente il corto ha sottotitoli in italiano. Partendo da questo presupposto, sapevo di poter usare solo il linguaggio del corpo e del volto per far arrivare le emozioni. Si tratta di sofferenza, dolore ma anche stoicismo, resilienza, il non voler abbandonare la speranza, voler fare di tutto per proteggere e amare la propria figlia sino all’ultimo.
Nel cortometraggio c’è una scena particolarmente difficile e toccante, quella in cui la bambina muore fra le braccia dei genitori…
Sì, abbiamo scelto di non far vedere proprio il momento della morte però vediamo i genitori che siedono sul divano e la bambina è distesa fra loro, ha il sondino gastrico, è sotto la coperta, dorme e ha il suo pupazzo preferito accanto. Questo particolare, la presenza del pupazzo, evidenzia l’infanzia e come un mostro come il DIPG se ne appropri, distruggendo lei e qualsiasi possibilità di un futuro. Ho reputato necessario inserire questa scena perché ho visto in diversi video caricati su Youtube da genitori americani momenti del genere. E’ una scena che mostra la sofferenza, il dolore; una scena che non dovrebbe esistere, che tutti faticano a vedere, ad accettare, perché la morte di un figlio è qualcosa che è contro natura. Eppure, ripeto, penso sia una scena essenziale perché il DIPG è anche questo.
Come mai hai sentito il bisogno di raccontare del DIPG con questo cortometraggio?
Oltre a mandare avanti l’Associazione di volontariato Adolescenti e cancro, sono una scrittrice e un’attrice. Sono una persona creativa, quindi, e ho pensato di usare il linguaggio del cortometraggio abbinato a quello dei social per far arrivare il messaggio a quante più persone possibile. Il messaggio in questo caso è la semplice ma importantissima consapevolezza. Come ho accennato prima, generalmente la gente non sa che esiste questo tipo di tumore terminale alla diagnosi e che, come tutti i tipi di cancro, può colpire qualunque bambino e nessuno è al sicuro, a prescindere da età, sesso, luogo in cui vive, situazione economica della famiglia e via dicendo… Se ci fosse stato un serial killer che se ne va in giro a uccidere bambini a questo modo, sarebbe stato sulla bocca di tutti, e tutti avremmo voluto fare qualcosa per fermarlo. Questo serial killer esiste, è un cancro, e l’unico modo per sconfiggerlo è finanziare la ricerca. Inutile dire che, perché il DIPG è considerato “raro” e non ne parliamo praticamente mai (personalmente, ne ho sentito parlare solo nelle pagine e nei gruppi Facebook dedicati all’argomento), la ricerca riceve pochissimi finanziamenti.
Lo scopo del cortometraggio dunque è far sì che la gente si faccia un’idea realista di questa patologia per poi eventualmente continuare a informarsi e approfondire. Chi lo desidera può anche contribuire con una donazione libera che, ogni volta che raggiungeremo 100 Euro, devolveremo a un’Associazione americana che si occupa di finanziare la ricerca sul DIPG (prova dell’avvenuta donazione sarà postata sulla nostra pagina Facebook, sul nostro sito e su quello dedicato al cortometraggio).
Qui il link su Gofundme per effettuare una donazione: https://www.gofundme.com/the-child-who-fades-away
Dunque, come si racconta la sofferenza?
A volte, come in questo caso, penso che il modo migliore per raccontarla sia mostrarla senza troppi giri di parole. Mostrare uno squarcio di una realtà che rimane nascosta nel caos del mondo ma che esiste e di cui dobbiamo parlare sicuramente parlare di più.
Grazie per l’attenzione.
Guarda il video:
Per saperne di più:
https://mentretenevai.weebly.com/
www.facebook.com/adolescentiecancro
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