(Intervista di Dario Villasanta)
In questi giorni il mondo dei libri vive i fermenti più entusiasti dell’anno. Sale la febbre per il prossimo Salone del Libro di Torino, quando quando gli USA son freschi di cronaca per l’assegnazione del Premio Pulitzer (esiste anche quello per la Letteratura, sì: ne parlano poco, ma c’è). Non solo, ma si avvicinano le assegnazioni dei più noti premi letterari italiani, tra cui uno Strega che ha appena selezionato i dodici che si giocheranno l’ingresso alla fase finale. E, ahimé, spiace dirlo ma la gioia di quella dozzina è costata la gioia a Patrick Fogli, per cui il percorso nel premio forse più discusso d’Italia si interrompe qui.
Patrick Fogli è uno scrittore che non sa essere diverso dall’uomo: sensibile e impegnato sugli argomenti sociali spesso più bui del nostro Paese, ma con un animo romantico da vecchio sognatore che ricorda alcuni eroi medievali cantati come uomini senza macchia né compromessi, impavidi nel loro mettersi in gioco in prima persona. A distanza di anni, non ho potuto esimermi dal dialogare con lui su temi di stretta attualità.
Patrick, parto con il tema più ‘leggero’ anche se forse per te è come riaprire una ferita: lo Strega. Mentre negli USA celebrano i vincitori del Pulitzer, in Italia vige la regola contraria di bollare i premi più noti come inciuci letterari e, spesso, il partito preso di non leggere chi li vince. È solo bieco malcostume italiano, o c’è una fondatezza in tutto ciò?
I premi sono i premi, difficile dirlo in un altro modo. Strega e Campiello sono le due casse di risonanza più importanti in un mondo come l’editoria che ha scarsissimo accesso, ad esempio, alla televisione. Non sempre i romanzi che vincono mi piacciono, ma sto parlando di gusti personali. Ad esempio trovo che La prima verità di Simona Vinci e Resistere non serve a niente di Walter Siti siano due romanzi molto belli. Ma con i premi più importanti funziona come con gli Oscar. A volte va fatta meglio, a volte peggio.
È possibile che i romanzi con forte caratterizzazione sociale, che trattano del nostro Paese senza fare sconti come lo sono i tuoi, siano penalizzati in tale contesto? E hai mai avvertito ostruzionismi personalmente nel portare in giro argomenti scomodi?
No, non credo che accada e non ho mai trovato ostruzionismo. Si potrebbe fare un ragionamento diverso: quanto questo Paese ha voglia di farsi domande? Ma è una questione più generale, che non riguarda me e non riguarda neppure soltanto i libri.
Il momento non è caldo solo per la letteratura, lo sappiamo, ma anche per un dopo elezioni incerto in cui gli animi degli Italiani si stanno scaldando più del solito, almeno negli ultimi anni. Guarda caso, concomitante con la sentenza di primo grado sulla trattativa Stato-mafia. Esiste, o è mai esistita, una letteratura italiana – oltre la tua – che alzasse davvero la voce laddove tetri silenzi avvolgevano capitoli scandalosa della nostra storia? Oppure è stato sempre tutto all’acqua di rose?
Ti faccio solo il primo nome che mi viene: Pier Paolo Pasolini. Ma ce ne sarebbero molti altri. La questione, un po’ come nella domanda precedente è quanto ci sia voglia di ascoltare, di capire, di sapere, al di fuori di una piccola nicchia di interessati?
Vedi la luce in fondo al tunnel di omertà della nostra cultura, e avverti segnali che qualcosa sta cambiando in meglio?
Vorrei vederla, ma tendo al cinismo. In generale mi sembrano tempi superficiali, in cui ci riempie spesso la bocca di parole che non hanno nessuna corrispondenza con i fatti a cui fanno da preambolo. Merito, per esempio. No, non sono ottimista.
Che percezione hai di come viene percepita la cultura dai giovani oggi?
Come tutte le altre cose, hanno bisogno di qualcuno che gliela faccia amare, conoscere. Hanno bisgno di guide. Se le trovano, sono di sicuro più svegli di come ero io alla loro età. Dall’altro lato sono pieni di stimoli che non aiutano a focalizzare. Ma questo vale per tutti noi, sempre alla ricerca di un tempo che pare sfuggire sotto mano. E chissà per cosa.
La tua passione artistica è a trecentosessanta gradi: non solo libri, ma anche cinema e musica. Hai mai pensato di impegnarti artisticamente anche in questi ambiti, e se sì qual è stato il tuo sogno irrealizzato nel cassetto? (se sì, e non lo so, chiedo perdono! ndDario)
Scrivere una serie televisiva. Chissà.
Concedimi di parlare un poco della tua – oggi anche mia – Bologna. Da città nota per la Cultura, in cui si sperimentava e dava vita a grandi talenti e nuovi approcci all’arte, oggi si è trasformata in una città-cartolina, o almeno il trend è quello, in cui l’unica forma espressiva che trova spazio è il cibo. Concordo sulla nobiltà del cibo, ma la questione mi lascia interdetto. E sorvolo sul flop di FICO…
Secondo te c’è speranza che Bologna torni a essere la dotta, l’esempio culturale, oltre che socialmente a misura d’uomo, come è stata in un tempo non molto lontano (oggi è tra le due-tre città più care d’Italia, dati ISTAT)?
Provo con un’immagine. Bologna è come la cima di una catena montuosa, una delle vette più alte. Il rapporto con le altre vette è lo stesso, ma tutta la catena montuosa di è abbassata. A Bologna, in cui vivo ormai solo una parte ridotta del mio tempo, si sta ancora meglio che in molte altre città d’Italia, ma il mondo è cambiato tutto intorno, la spinta si è un po’ persa, l’idea di visione di lungo periodo è quasi un miraggio. E sto parlando in generale, non di Bologna in particolare. Era difficile pensare che non cambiasse molto anche qui. Sta finendo il Novecento, i secoli non finiscono mai con la data cronologica. Di conseguenza ci aspetta un mondo diverso.
Patrick, dici di te che definirti scrittore ti fa ancora un po’ ridere, ma dopo molti romanzi non puoi più nasconderti. Da te agli scrittori-divi, o prezzemolini di oggi ce ne passa… Da questo tuo modo di sentire, come vedi la presenza di tanti tuoi colleghi i TV, soprattutto per commentare la cronaca nera?
Tendo a parlare se credo di avere qualcosa di dire. Dando per scontato che valga per tutti, evidentemente hanno qualcosa di dire sull’argomento. E sono sincero.
In chiusura: c’è qualcosa che vorresti dire alla gente e che non sei mai riuscito a inserire nei tuoi romanzi? Cosa?
Fortunatamente ho sempre potuto scrivere quello che volevo e come volevo.
Chi è Patrick Fogli:
nato il 15 aprile 1971 è scrittore, ha pubblicato: Lentamente prima di morire (Piemme, 2006), L’ultima estate di innocenza (Piemme, 2007), Il tempo infranto (Piemme, 2008), Vite spericolate (Verdenero, 2009), Non voglio il silenzio (Piemme, 2011), La puntualità del destino (Piemme, 2012), Dovrei essere fumo (Piemme, 2014), Io sono Alfa (Frassinelli, 2015) e quest’anno A chi appartiene la notte (Baldini & Castoldi). Si è occupato anche di musica, sua passione con il cinema e la televisione, e con i suoi romanzi ha offerto sempre uno spaccato della nostra Storia e società.
Ti è piaciuto l’articolo? Rispondi direttamente all’autore compilando il modulo di contatto qui:
L’ha ribloggato su PENNA IN FIAMMEe ha commentato:
“…tutti noi, sempre alla ricerca di un tempo che pare sfuggire sotto mano. E chissà per cosa.” Se ci sono risposte che sanno porre altre domande, queste sono lo stile di Patrick Fogli, che sa gettare lo sguardo sempre ‘oltre’. Su SCRIVERE SENZA PAROLE, per leggere oltre le storie.
"Mi piace""Mi piace"
Pingback: “…tutti noi, sempre alla ricerca di un tempo che pare sfuggire sotto mano. E chissà per cosa.” Se ci sono risposte che sanno porre altre domande, queste sono lo stile di Patrick Fogli, che sa gettare lo sguardo sempre ‘oltre’