Noi della Cultura, orfani di Garibaldi.

(di Dario Villasanta)

C’è stato Platone ne La Repubblica che, insieme ad altri antichi filosofi greci, sosteneva l’idea che i governanti dovessero essere anche filosofi. E con lui anche Socrate, già prima, ma era un’idea che l’antica Grecia portava in seno dalla nascita.

Platone in realtà sosteneva molto di più: il principio della kalogagatia (Kalòs- kagatòs) cioè del bello che è anche buono. Ma cos’era il bello secondo gli antichi greci? La virtù, perché il ‘bello’ nasce dalla conoscenza, che nel loro pensiero equivale al ‘buono’. Perciò bello=buono, perché conoscenza, sapienza.

Era più  o meno il 400 avanti cristo.

Oggi, marzo 2018, ci accingiamo a prestarci a elezioni politiche mai vissute fino a ora.

Una campagna volgare,  spinta al turpiloquio più esasperato verso l’avversario politico che non alla proposizione.

D’altra parte, già Petronio ci ha regalato un Satyricon che tutto spiega dell’italico agire: siamo tutti di sinistra, o di destra, a seconda del momento. L’importante è che godiamo. Direi che ha dipinto molto bene gli anni ’80 nel nostro immaginario, ma pure oggi non è ancorato in gran lontananza.

Mio padre mi diceva, quando avevo otto anni e studiavo le rivoluzioni europee e gli chiesi “pa’, ma in Italia potrebbe mai succedere una rivoluzione?”

“Vedi Dario” mi disse lui amareggiato “finché l’italiano avrò un piatto di pasta, la partita di pallone e le troie non si ribellerà mai. Perciò, no.”

Sembrava affranto da questo pensiero, per quanto anche sollevato dalla consapevolezza che non avremmo avuto carneficine fratricide in casa, come poi invece ci furono tra i ’70 e gli ’80.

Montanelli disse ugualmente molte cose sugli italiani, e non sto qui a ripeterle tutte. Ne ricordo solo una che riprese da Ugo Citi, se non erro. Alla domanda (del sopravvalutato Elkann) su quale futuro ci fosse per gli italiani, egli rispose: “Gli italiani sono un popolo che non ha memoria. E un popolo che non ha memoria, non può avere un futuro.” In quelle parole, risento mio padre, giusto o sbagliato che fosse.

Montanelli lo disse con dispiacere, da borghese convinto ma da italiano altrettanto sentito, e lì, fu proprio lì, che io capìi che senza italiani (non giornalisti, ma italiani!) alla Montanelli, con tutti i suoi difetti ma anche il suo spirito critico, non saremmo mai diventati l’unica cosa che ci sarebbe servito essere: un popolo.

Lo disse Kipling un centinaio di anni prima, quando parlò di tutte le peculiarità delle potenze europee: “Un italiano? Un gran simpaticone. Due italiani? Una festa. Tre italiani? tre partiti politici.”

Lo possiamo contestare? No.

Ora e oggi ci scanniamo sulle etnie, sugli immigrati, sulla destra e la sinistra, ma non abbiamo capito un cazzo. L’unico modo per avere un governo vero, tornando a Platone, è di poter eleggere delle menti, non degli show-men. Noi abbiamo solo i secondi e non abbiamo la volontà di andare avanti uniti.

I siciliani maledicono Garibaldi, i Tentini idem, il Veneto che fino a ieri era popolo di emigrati chiamati ‘i terroni del nord’ e che vivevano soltanto sulla loro terra lavorata da immigrati africani, oggi sono borghesucci ignoranti ma che hanno due soldi in banca e vogliono l’autonomia perché si sentono la Serenissima del 2000. Ma vaffanculo!

Pure Como e varese, dove sono cresciuto io, a due passi da Gemonio, si è vista nascere la Lega Lombarda tanti anni fa, ai tempi del Bossi. Gli si chiedeva “ma cosa volete fare?”

“Noi vogliamo solo che le nostre tasse vengano usate per noi, e non per chi non fa un cazzo!”

Bene, sapete chi sono stati i primi a votare e sostenere la Lega da allora? I Calabresi, Siciliani e Pugliesi che vivevano al nord e si erano fatti il culo per mettere insieme una casa e due bocconi di pane per i figli, mentrenoi bimbi l chiamavamo ‘terroni’, perchè erano stufi di mandare soldi al sud dove secondo loro andavano perduti.

Se vi dicessi che ancora oggi, nell’alto Varesotto, ho amici che parlano meridionale stretto ma che sono più estremisti di Salvini non ci credereste, eppure è così.

E rimarremo allora, con tante diversità di voleri e metodi, un’accozzaglia di genti diverse, le più belle del mondo, ma che non sapranno neanche questa volta essere un popolo.

Perché ogni elezione, se persa fin dall’inizio, è un’occasione persa per essere un popolo.

 

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